DAGO HERON

Taxi – capitolo 3

“Hi, Ethan, it’s me – disse una voce maschile dall’altra parte – I tried all the day to call you, did you get some problem?”

Angela ascoltava senza dire niente, non sapeva se rispondere o no, ci pensò un attimo e poi decise che non c’era niente di male a rispondere, in fondo il telefono l’aveva davvero trovato.

“Hi, my name is Angela, I founded this phone yesterday in a taxi, here in Milan. Who are you looking for?”

“Sorry, are you italian?” la interruppe l’altro

“Yes” disse Angela un po’ sorpresa, di solito il suo accento non era così male

“Benone, possiamo parlare in italiano se preferisce” continuò la voce dall’altra parte.

Angela era un po’ sorpresa e un po’ scocciata: ma come il suo inglese non era all’altezza forse? Come si permetteva? Lei parlava tutti i giorni con mezzo mondo e nessuno ci aveva mai trovato niente da ridire. Ma chi si credeva di essere, Carlo d’Inghilterra forse? Mentre in una frazione di secondo tutti questi pensieri le attraversavano la mente, dall’altra parte la voce continuò come se le avesse letto nel pensiero “Guardi che sono mezzo italiano anch’io, non è che non capisco, solo mi sembra più naturale”

Beh, così andava già meglio. “Naturalmente” rispose Angela più rilassata, restando comunque sulle sue.

“Scusi – continuò il suo interlocutore – ma stavo cercando Ethan Wallace e non capisco come mai abbia risposto lei”

“Come le dicevo – riprese un po’ seccata Angela – ho trovato questo cellulare in un taxi ieri, qui a Milano. Non potevo sapere chi era il proprietario ovviamente, se mi dice dov’è posso farglielo recapitare”

“Questa è una bella domanda, vorrei sapere anch’io dove si trova. Facciamo così, il proprietario dovrebbe essere lì a Milano, appena lo sento gli dirò di chiamarla, così vi potete accordare per riprendere il telefono”

“Non c’è problema” rispose Angela cortese ma in realtà un po’ dispiaciuta di rendere subito quel giocattolo al suo proprietario, anche se si rendeva conto che non aveva altre possibilità.

I due si salutarono e Angela si rivolse a Carolina “Hai visto, dovevamo buttare la sim. Ora dovrò renderlo al proprietario”.

Non è che Angela non fosse in condizioni di acquistarne uno uguale, ma il fatto di essersi illusa di averlo avuto gratis e poi doverlo rendere non gli andava giù.

Carolina interpretò quel pensiero e disse “Beh, non è mica detto che tu debba renderlo… subito”.

“Cioè?” chiese Angela intuendo che la sua amica ne stava macchinando una delle sue

“Facciamolo un po’ penare, divertiamoci un po’ prima di renderlo, visto che fa anche le foto potremmo anche pensare a qualcosa di divertente no?”

Il sorriso malizioso di complicità che si dipinse sulle facce delle due donne non lasciava dubbi su quello cui stavano pensando e sfuggì loro una risatina che non faceva presagire niente di buono.

“Non vorrai mica….? Non hai in mente…quello, vero Carolina?” chiese Angela seria con una luce negli occhi che in realtà smentiva i tentativi di dissuadere l’amica da insani gesti.

“Noooo, ma cosa vai a pensare?” mentì l’amica ammmiccando

“Cosa vuoi fare esattamente?” cercò di indagare Angela

“Non lo so, ci sto pensando, quando mi viene in mente qualcosa di interessante te lo dico. Adesso però spegni quel coso e andiamo al cinema prima che diventi tardi”

Pagarono il ristorante e uscirono nella serata uggiosa per imbucarsi in un cinema poco distante dove davano l’ultimo film con Daniel Auteuil, attore che entrambe adoravano.

Mentre aspettavano l’inizio del film Angela ripensò a quanto le aveva comunicato l’uomo al telefono, come aveva detto che si chiamava il proprietario Fallace, Dallas, no Wallace, aveva detto Ethan Wallace. Chissà chi era, dal nome si sarebbe detto scozzese più che inglese, magari portava pure la gonna e Angela immaginò un anziano sussiegoso signore vestito con il kilt che suonava la cornamusa in qualche manifestazione folcloristica locale. Il pensiero la fece sorridere.

“Cos’hai da ridere?” chiese Carolina

“Niente, niente, sto pensando al tipo del telefono, poi ti spiego” concluse visto che ormai stava iniziando il film. Carolina annuì, si infilò gli occhiali che portava solo al buio della sala, concentrandosi sullo schermo.

Angela scosse la testa pensando all’amica che non sopportava il gesto di cacciarsi delle lenti negli occhi, ma che si ostinava a non portare gli occhiali in pubblico perché era convinta le stessero male. Così spesso faceva gaffe o peggio inciampava per non parlare di quando faceva finta di vedere e in realtà non vedeva niente.

La musica saliva, il pathos di una storia che si annunciava drammatica già dalle prime inquadrature distrasse definitivamente Angela dai suoi pensieri.